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CPR: La Mortificazione della Dignità Umana e la Dannosa Indifferenza della Politica

“I CPR sono una ferita della legalità e delle garanzie, obbrobrio giuridico del nuovo millennio […], laboratori della chimica della segregazione” (Maurizio Veglio, avvocato specializzato in diritto dell’immigrazione).

Facciamo un passo indietro. Per la definizione di tali Centri di Permanenza per Rimpatri (CPR), dal sito della Camera della Repubblica si legge che “i CPR sono luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione”. E ancora, “quando non è possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento […], il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza per i rimpatri più vicino”.

Tali strutture sono ripetutamente state oggetto di aspre critiche da parte di esperti, giuristi, costituzionalisti e osservatori internazionali, costituendo de facto dei “buchi neri” del diritto, nei quali i reclusi subiscono trattamenti aberranti e in cui si verificano continue e gravissime violazioni dei diritti fondamentali dei migranti trattenuti.

In primo luogo, è doveroso rilevare come i CPR siano fondati sul concetto di detenzione amministrativa. Di fatto, la situazione è tale per cui la libertà dell’individuo – diritto inviolabile – cede alla pretesa statale di segregazione dalla società, sulla sola base di una violazione amministrativa, che sia l’ingresso o il soggiorno nell’assenza di un permesso. Tale regime di detenzione è, in parte, legittimato anche dall’Unione Europea, per la quale la Direttiva Accoglienza del 2013 stabilisce che gli Stati non possano trattenere una persona per il solo fatto di essere un richiedente asilo, e che un’eventuale misura detentiva vada valutata caso per caso, introducendo tuttavia una serie di motivazioni che giustificano il trattenimento, a fondamento delle quali vi è l’identificazione.

Nonostante la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo abbia stabilito delle condizioni rigorose per il trattenimento, non è chiaro il labile confine tra privazione della libertà e restrizione della libertà di movimento per fini identificativi, e per questo motivo il regime di detenzione amministrativa rientra nell’area grigia del diritto, in cui una struttura carceraria per persone innocenti garantisce spesso meno diritti di quelli garantiti ai reclusi del sistema penitenziario, e dove i trattenuti si ritrovano senza che venga celebrato alcun processo. La CEDU ha sempre avuto una deferenza nei confronti del potere statale, nonostante negli anni diversi controlli da parte della Commissione Europea nei CPR abbiano evidenziato un totale slegamento del trattenimento dalle strette condizioni poste, configurando spesso come detenzioni arbitrarie e talvolta illegittime.

Una volta varcata la soglia di un CPR, il percorso del migrante straniero sfuma, e il suo destino è posto nelle mani di due figure fondamentali: il questore, autorità di pubblica sicurezza che ha il potere di trattenimento qualora lo straniero non possa essere identificato, e il giudice di pace, che ne deve dare la convalida giudiziaria entro le successive 96 ore. L’attenzione ricade su quest’ultimo, che è una figura minore nell’ambito giurisprudenziale, un magistrato onorario, non professionale, non togato e pagato a cottimo, introdotto dal legislatore come conciliatore tra le parti. Ironicamente, in questo caso, non risulta proprio nulla da conciliare. Paradossalmente, la scelta di affidare una decisione così importante come la tutela della libertà individuale – principio fondamentale della Costituzione – ad una figura così marginale rappresenta un unicum nel sistema giuridico, in cui la materia del trattenimento rimane succube del potere della pubblica amministrazione, mentre il giudice si limita a convalidarne l’operato. “Gli stranieri trattenuti nei CPR sono le uniche persone sulla cui libertà decide un giudice a cui il legislatore non ha attribuito il potere di disporre pene detentive”, denuncia Maurizio Veglio. Inoltre, egli sottolinea come la maggior parte delle udienze vengano svolte all’interno dei CPR (inaccessibili al pubblico) e consistano in procedure estremamente sbrigative, superficiali e seriali. Come analizzato dall’Osservatorio Lexilium, il 60% delle 947 udienze di convalida e proroga analizzate non supera i 5 minuti di durata: appena 300 secondi per “valutare” le condizioni dello straniero e disporre la convalida del trattenimento (appellabile, peraltro, solo in Cassazione). Nel 2010, la Cassazione stessa ha giudicato alcune pratiche normalizzate in tali situazioni come di “solare incostituzionalità” e “pura invenzione giuridica”. Ne è un esempio la sola notifica della proroga di trattenimento in assenza di un’udienza, senza contraddittorio e senza presenza dello stesso trattenuto

“La detenzione amministrativa è una crepa costituzionale, e affidarne il controllo alla magistratura non professionale spalanca una voragine, in cui sprofondano effettività della difesa e principio di uguaglianza” (Maurizio Veglio).

Si rileva che formulare una richiesta di asilo dall’interno dei CPR sia estremamente complesso. Troppo spesso, gli stranieri che arrivano in Italia attraverso canali illegali non hanno alcuna idea dei loro diritti in materia di protezione internazionale, e nessuno si è mai premurato di facilitarne l’applicazione. Lo straniero è sottoposto ad una serie interminabile di passaggi burocratici informali e formali, per vedersi spesso rispondere dal giudice del Tribunale, il quale analizza la richiesta, che la domanda di asilo è stata unicamente finalizzata a impedire l’espulsione, e non a tutelare la sua incolumità. Il Tribunale valuta la fondatezza della richiesta di protezione internazionale su minime e sommarie informazioni, spesso senza effettuare un’interrogazione al richiedente, poiché l’udienza viene svolta senza la sua stessa presenza. Una situazione abominevole che cancella il diritto alla difesa, e che viene “giustificata” proprio dal fatto che lo straniero abbia fatto richiesta dal CPR con il solo scopo di ritardare il rimpatrio. Il paradosso è lampante, poiché, se essere trattenuto in un CPR elimina la possibilità della richiesta di asilo, persino i cittadini di paesi coinvolti in guerre civili, colpi di stato o genocidi di massa – come Sudan, Libia, Afghanistan, Somalia e Siria – potrebbero non vedere la propria richiesta approvata, sebbene abbiano tutto il diritto alla protezione internazionale, come sancito dall’Assemblea ONU nel 1948 (CEDU), ma anche dalla stessa Costituzione Italiana (art.10). Situazione, peraltro, che rivela una certa ipocrisia da parte di Italia e UE, che giustamente ospitano indistintamente e senza alcun controllo preliminare milioni di sfollati Ucraini, ma discutibilmente respingono altri migranti che avrebbero parimenti diritto alla protezione internazionale.

In questo quadro, il governo Meloni continua a ostacolare l’accesso alla richiesta di asilo. Con il decreto interministeriale del 14 settembre 2023, si è stabilito che il richiedente asilo debba prestare una garanzia finanziaria (di importo fissato a 4.938 euro) durante lo svolgimento della procedura per l’accertamento del diritto ad accedere al territorio dello Stato. Il provvedimento punta sulla deterrenza, in quanto ben difficilmente lo straniero avrà i mezzi finanziari per effettuare la garanzia, a meno che si tratti di uno scafista. Tuttavia, alcuni giudici hanno già avuto il tempo di giudicare la normativa come in contrasto con la Costituzione e leggi UE, rilevando forti profili di illegittimità del decreto, come nel caso degli ospiti rilasciati dal centro di Pozzallo a fine settembre dal Tribunale di Catania.

Un tema fondamentale è poi quello delle condizioni di igiene, salute fisica e mentale dei trattenuti all’interno dei Centri. Da vari rapporti svolti dal Garante nazionale dei diritti dei detenuti tra il 2016 e 2018 emerge un quadro piuttosto inquietante, che rappresenta il CPR Brunelleschi di Torino come un centro di pura incarcerazione, con servizi inefficienti e ridotti al minimo, e la totale inattività dei trattenuti. Camere di 50 m2 in cui vivono, mangiano e dormono sette persone, con gabinetti aperti privi di separazione dai letti, minimizzando ogni prospettiva di riservatezza, con sporcizia dappertutto e pulizia affidata ai trattenuti (situazione riscontrata anche da altri report presso il CPR di Milano). E ancora, reti e recinzioni dovunque, contatti limitati e solo in alcune ore specifiche del giorno, ore di attesa prima di poter inoltrare una richiesta – anche di aiuto sanitario – per la mancanza di personale di guardia e assistenza. Spesso infatti, i trattenuti aspettano svariate ore prima di ricevere assistenza medica, poiché un medico è presente solo per 6 ore al giorno, mentre sembra che vi sia sempre una grande quantità di agenti di polizia, carabinieri ed esercito. Vi è perciò una diffusa situazione di malessere, stress e tensioni, accompagnati da uso di potenti terapie sedanti. Lo status del trattenimento, senza peraltro la possibilità di svolgere alcuna attività ricreativa o di movimento, e in uno stato di perenne incertezza riguardo alla propria sorte, ha un forte impatto sulla salute mentale dei trattenuti, tra i quali si registrano numerosi atti di autolesionismo, come oggetti ingoiati, tagli, arti fratturati o scioperi della fame, spesse volte giudicati dalle autorità come “capricci”, anche per carenza di psicologi, interpreti e assistenti sociali. Complessivamente, una situazione incompatibile con le minime norme di igiene e salute, che sminuisce la dignità dei trattenuti.

A questo punto, ci si chiederà se, oltre a tutte queste violazioni di diritti, questi centri siano almeno efficienti dal punto di vista dei rimpatri. Al contrario, il sistema non raggiunge manifestamente gli obiettivi prefissati: il trattenimento non funziona, principalmente perché la possibilità di rimpatrio dipende da specifici accordi tra i governi dei singoli paesi, perciò da questioni geo-politiche estremamente delicate e dalla definizione di “paese sicuro per il rimpatrio”, per cui è alquanto difficile misurarne i parametri. Dati elaborati da ISPI dicono che, tra il 2013 e il 2017, le autorità italiane hanno rimpatriato solamente il 20% di tutti gli stranieri extra-UE destinatari di un decreto di espulsione. Gli “espulsi a seguito di trattenimento” raggiungono appena il 50% sul totale dei trattenuti tra il 2017 e il 2020, mentre il 30% vengono rilasciati per “altri motivi” e, mediamente, solo 1.6% è arrestato all’interno del Centro. Dunque, la maggior parte delle persone sembra essere solamente “colpevole di aver viaggiato ed essere giunta in Italia”.

Emerge così la vera natura dei CPR, luoghi di isolamento ed esclusione sociale dello straniero ancor prima che preludi del rimpatrio. Occorre dunque ripensare totalmente le politiche di “accoglienza”, trattenimento e rimpatrio, partendo dal bisogno di rendere centrale la scelta delle persone: emigrare è una decisione complessa, e spesso non è compiuta in libertà dall’individuo, pressato da sempre più complesse situazioni economiche, climatiche, di guerra o di persecuzione. Tutto il panorama politico italiano ed europeo, comprese le forze progressiste e di sinistra (vedi i decreti Minniti), ha troppo a lungo cercato di ignorare il problema dei rimpatri, contrastandolo populisticamente, in maniera fortemente nociva e lesiva delle libertà individuali. Oltre al piano meramente economico di inefficienza, la politica ha il dovere morale di elaborare altre soluzioni, anche in collaborazione con la società civile: innanzitutto, l’istituzione di canali di accesso legali (corridoi umanitari), ma anche la possibilità di garantire il permesso di soggiorno a chi cerca lavoro o una regolarizzazione ex post, ribaltando il concetto di rimpatrio a eccezione valutata caso per caso. Le alternative sono complesse, come d’altronde estremamente articolato è in sé il fenomeno migratorio, ma abbiamo bisogno di una classe politica responsabile che se ne occupi ora, riportando al centro il rispetto dell’essere umano e dei suoi diritti fondamentali.


A cura di Giovanni Colombo


ENGLISH VERSION

CPRs in Italy: The Mortification of Human Dignity and the Harmful Indifference of Politics


"CPRs are a wound to legality and guarantees, a juridical disgrace of the new millennium [...], laboratories of the chemistry of segregation" (Maurizio Veglio, immigration law specialist).

Let's take a step back. According to the website of the Chamber of the Italian Republic, Centres for Permanence for Repatriation (CPR) are defined as "places of detention for foreign citizens awaiting the execution of expulsion measures." Furthermore, "when expulsion cannot be immediately carried out through escorting to the border or rejection [...], the police chief orders that the foreigner be detained for the strictly necessary time at the nearest repatriation centre."

These structures have repeatedly been the subject of harsh criticism from experts, jurists, constitutionalists, and international observers, de facto constituting "black holes" in the legal system where detainees undergo aberrant treatments and continuous and serious violations of the fundamental rights of detained migrants.

Firstly, it is essential to note that CPRs are based on the concept of administrative detention. In practice, the situation is such that individual freedom – a fundamental and inviolable right – yields to the state's claim of segregation from society, based solely on an administrative violation, be it entry or stay in that country without permission. This detention regime is partly legitimized by the European Union. The 2013 Reception Directive asserts that States cannot detain a person solely for being an asylum seeker and that any detention measure must be assessed case by case, introducing, however, a series of justifications for detention, based on identification.

Although the European Court of Human Rights has set strict conditions for detention, the blurred line between deprivation of liberty and restriction of movement for identification purposes remains unclear. Hence, the administrative detention regime falls into the gray area of the law, where a prison structure for innocent people often guarantees fewer rights than those granted to inmates in the penal system, and where detainees find themselves without any trial being conducted. The European Court of Human Rights has always shown deference to state power, despite various checks by the European Commission on CPRs over the years revealing a total disconnect of detention from the strict conditions imposed, often configuring as arbitrary detentions and sometimes even illegitimate.

Once the threshold of a CPR is crossed, the path of the foreign migrant fades, and their fate is placed in the hands of two fundamental figures: the police commissioner (Questore), a public security authority with the power of detention if the foreigner cannot be identified, and the justice of the peace (Giudice di Pace), who must provide judicial validation within the next 96 hours. Attention is drawn to the latter, a minor figure in jurisprudence, an honorary, non-professional, non-judicial magistrate paid on a sentence-rate basis, introduced by the legislator as a mediator between the parties. Ironically, in this case, there is nothing to mediate. Paradoxically, entrusting such an important decision as the protection of individual freedom – a fundamental principle of the Constitution – to such a marginal figure is unique in the legal system. Thus, the matter of detention remains subservient to the power of public administration, while the judge merely validates its actions. "Foreigners detained in CPRs are the only people whose freedom is decided by a judge who the legislator has not empowered to impose detention penalties," denounces Maurizio Veglio. Furthermore, he emphasizes that most hearings take place within CPRs (inaccessible to the public) and consist of extremely expeditious, superficial, and serial procedures. As analyzed by the Lexilium Observatory, 60% of the 947 validation and extension hearings analyzed last less than 5 minutes: just 300 seconds to "evaluate" the conditions of the foreigner and validate their detention (appealable, moreover, only to the Court of Cassation). In 2010, the Court of Cassation itself judged some standardized practices in such situations as "clear unconstitutionality" and "pure legal invention". For instance, the sole notification of the extension of detention without a hearing, without adversarial proceedings, and the presence of the detainee.

"Administrative detention is a constitutional crack, and entrusting its control to non-professional magistrates opens up an abyss, in which the effectiveness of the defense and the principle of equality sink" (Maurizio Veglio).

Furthermore, making an asylum request from within CPRs is extremely complex. Too often, foreigners arriving in Italy through illegal channels have no idea about their rights concerning international protection, and no one has ever bothered to facilitate its application. The foreigner is subjected to an endless series of informal and formal bureaucratic steps, often receiving from the judge of the court, who analyzes the request, the response that the asylum application was solely aimed at preventing deportation, but not at protecting their safety. The court assesses the validity of the request for international protection based on minimal and summary information, often without questioning the applicant since the hearing takes place without their presence. An absurd situation erasing the right to defense and "justified" by the fact that the foreigner requested the CPR solely to delay repatriation. The paradox is evident, because, if being held in a CPR eliminates the possibility of an asylum request, even citizens of countries involved in civil wars, coups, or mass genocides – such as Sudan, Libya, Afghanistan, Somalia, and Syria – might not see their requests approved, even though they have the right to international protection, as stipulated by the UN Assembly in 1948 (ECHR) and also by the Italian Constitution (Art. 10). This situation, moreover, reveals a certain degree of hypocrisy by Italy and the EU, which indiscriminately and rightly host millions of displaced Ukrainians, without any preliminary control, but arguably reject other migrants who would equally have the right to international protection.

In this context, Meloni’s government continues to obstruct access to asylum requests. Through an “inter-ministerial decree” of September 14, 2023, it was established that the asylum seeker must provide a financial guarantee (amounting to 4,938 euros) during the procedure to determine the right to access the state's territory. The measure aims at deterrence, as the foreigner will hardly have the financial means to provide the guarantee unless they are a trafficker. However, some judges have already had time to judge the regulation in contrast with the Constitution and EU laws, highlighting strong profiles of illegitimacy of the decree, as in the case of guests released from the Pozzallo Center at the end of September by the Tribunal of Catania.

Other fundamental issues are the hygienic, physical, and mental health conditions of those detained within the Centers. Various reports from the National Guarantor for the Rights of Detainees between 2016 and 2018 paint a rather disturbing picture, portraying the CPR Brunelleschi in Turin as a center of pure incarceration, with inefficient and minimal services, and total inactivity of the detainees. Seven people living, eating, and sleeping in a 50-sqm room, with open toilets without separation from the beds, minimizing any prospect of privacy, with dirt and dust everywhere and cleaning entrusted to the detainees (a situation also noted by other reports at the Milan CPR). Furthermore, there are nets and fences everywhere, limited contacts only at specific hours of the day, and several hours of waiting before being able to submit a request – including for medical assistance – due to a lack of guard and assistance staff. Often, detainees wait for several hours before receiving medical assistance, as a doctor is present for only 6 hours a day, while there always seem to be many police officers, carabinieri, and military personnel. There is therefore a widespread situation of discomfort, stress, and tension, accompanied by powerful sedative therapies. The status of detention, without the possibility of engaging in any recreational or movement activities, and in a state of perpetual uncertainty about their fate, has a strong impact on the mental health of the detainees, among whom numerous acts of self-harm are recorded, such as swallowed objects, cuts, fractured limbs, or hunger strikes, often judged by authorities as "whims," also due to a lack of psychologists, interpreters, and social workers. Overall, a situation incompatible with minimum hygiene and health standards, which denies the dignity of the detainees.

At this point, one may wonder if, "beyond all these rights violations, these centers will be at least efficient in terms of repatriations"? On the contrary, the system clearly does not achieve its set goals: detention does not work, mainly because the possibility of repatriation depends on specific agreements between the governments of individual countries, hence extremely delicate geopolitical issues, and the definition of a "safe country for repatriation," making it difficult to measure its parameters. Data elaborated by ISPI state that, between 2013 and 2017, Italian authorities repatriated only 20% of all non-EU foreigners subject to expulsion decrees. The "expelled following detention" barely reaches 50% of the total detainees between 2017 and 2020, while 30% are released for "other reasons" and, on average, only 1.6% are arrested within the Center. Hence, most people seem to be only "guilty of having traveled and arrived in Italy".

Thus, it emerges the true nature of CPRs, being places of isolation and social exclusion for foreigners even before being a prelude to repatriation. Therefore, it is necessary to completely rethink the entire welcoming, detention, and repatriation policies, starting from the need to make the choice of individuals central. Emigrating is a complex decision, often not made freely by the individual, pressured by increasingly complex economic, climatic, war, or persecution situations. The entire Italian and European political landscape, including progressive and left-wing forces (see the Minniti decrees), has for too long tried to ignore the repatriation issue, populistically opposing it in a way that is strongly harmful and damaging to individual freedoms. In addition to the purely economic side of inefficiency, politics has a moral duty to develop other solutions, also in collaboration with civil society: firstly, the establishment of legal access channels (humanitarian corridors), but also the possibility of guaranteeing residence permits to those seeking work or ex-post regularization, reversing the concept of repatriation as an exception carefully evaluated case by case. The alternatives are complex, as it is the migratory phenomenon itself, but we need a responsible political class to address it now, bringing back respect for the human being and their fundamental rights to the center.


By Giovanni Colombo

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