COPERTO UN ROSSO DA 600 MILIONI CON PLUSVALENZE SOSPETTE: JUVENTUS SOTTO INCHIESTA
- resethica
- 3 mar 2022
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Il 2021 è stato un anno piuttosto travagliato per la Juventus che si è resa protagonista in negativo con una stagione decisamente non brillante, con l’iniziativa della Superlega, stroncata sul nascere dalla UEFA, ed infine per le indagini dovute al falso in bilancio. In riferimento a quest’ultimo, occorre dire che la gestione poco trasparente delle plusvalenze, nonostante non avesse mai raggiunto una portata simile, è una pratica diffusa nel mondo del calcio: infatti nelle mire delle varie Procure ci sarebbero altri club di Serie A tra cui anche il Napoli. In merito a ciò la Juventus, considerando l’ultimo decennio, è seconda solo al Chelsea con 672.5 milioni di euro. Sotto inchiesta ci sarebbero 282 milioni di plusvalenze generate in tre anni che, secondo la Procura di Torino, presentano “valori fraudolentemente maggiorati” per far figurare a bilancio entrate utili a ridurre le perdite, tramite accordi privati non contabilizzati e senza reali movimenti di denaro: in altre parole si presume che la Juventus abbia “gonfiato” i propri bilanci attraverso la registrazione di plusvalenze sospette. A seguito della perquisizione da parte della Procura di Torino, il titolo Juventus ha registrato un forte ribasso pari a 14 punti percentuali in soli 3 giorni. Solitamente, le plusvalenze (che rappresentano la differenza tra prezzo di vendita di un giocatore e il suo costo a bilancio) vengono registrate nella gestione straordinaria, ma per le società di calcio, sono incluse nella gestione caratteristica in quanto parte del business ricorrente. Al contrario, gli acquisti dei calciatori sono investimenti distribuiti sulla durata del contratto: se la Juventus compra Cristiano Ronaldo offrendogli un contratto di 4 anni a 31 milioni di euro, di questi solo 7.75 andranno ogni anno a bilancio. Ed è proprio questa peculiarità contabile che, secondo la Procura, è stata utilizzata fraudolentemente per gonfiare i profitti con operazioni apparentemente “neutre”, che riguardano principalmente giocatori giovani. Il funzionamento di queste operazioni è molto semplice: la Juventus si accorda con un'altra squadra per lo scambio di due giovani entrambi provenienti dai rispettivi vivai (e quindi si tratta di giocatori per i quali le rispettive squadre non hanno dovuto sostenere alcuna spesa per acquistare i diritti delle loro prestazioni sportive) e che hanno approssimativamente lo stesso valore, poniamo 10 milioni; a questo punto le due squadre, invece di accordarsi di scambiare i giocatori per un valore attorno ai 10 milioni, decidono di valorizzarli entrambi 30 milioni. Con questo espediente, anche se a livello di pagamento l’operazione è neutra, a livello contabile la differenza esiste ed è sostanziale: infatti in questo modo le due squadre registrano una plusvalenza di 30 milioni di euro e ciò agevola entrambe le squadre nel rispettare il fair play finanziario (progetto introdotto dalla UEFA che mira a non far estinguere i debiti contratti dalle società e ad indurle ad un auto-sostentamento finanziario). Dall’altra parte, in questa operazione, la Juventus acquista il giocatore per 30 milioni di euro con un contratto di 4 anni: questo significa che a conto economico il costo di questo acquisto sarà solo di 7,5 milioni di euro annui. In questo modo, senza nessun genere di esborso, la Juventus ha registrato un profitto pari a 22,5 milioni di euro. Questa condotta, secondo i PM, avrebbe portato a plusvalenze indebite per €282 milioni: tra queste ci sono anche quelle transazioni con prezzi ingiustificati alla luce della scadenza prossima del contratto (acquisto di Nicolò Rovella per 18 milioni € quando il giocatore sarebbe andato in scadenza in 6 mesi e sarebbe potuto diventare un giocatore bianconero senza bisogno di un esborso monetario per il cartellino o, comunque, con una cifra nettamente più contenuta). Se si considera che la Juventus ha un patrimonio netto di €28 milioni, senza questi €282 milioni sarebbe in negativo e avrebbe dovuto effettuare un aumento di capitale per importi molto superiori. La Juventus, anche in quanto società quotata, rischia di ricevere dei punti di penalizzazione fino alla retrocessione o addirittura revoca degli scudetti, ma, ad oggi, questi scenari appaiono remoti. Quello che è sicuro, invece, è che nel mondo del calcio, soprattutto in Italia, devono essere fatte delle riforme, oltre che per garantire il rispetto delle leggi vigenti, anche per assicurare a tutti la possibilità di competere allo stesso livello. In particolare, dovrebbero essere prese delle misure in favore delle più svantaggiate, società medio-piccole, che non si possono permettere di affrontare determinate spese. Questo proprio per evitare che la condizione necessaria e sufficiente per vincere il campionato sia quella di disporre di capitali maggiori rispetto alle altre squadre e infine per rendere questo sport sostenibile economicamente. Per iniziare, la Lega Calcio potrebbe stabilire dei principi diversi alla base della ripartizione dei proventi derivanti dalla vendita dei diritti sportivi: per esempio aumentando la quota pagata ai club di Serie A in parti uguali (attualmente pari al 50%), ovvero indipendentemente dalla classifica e dagli ascolti. In secondo luogo, prendendo spunto dal campionato inglese, potrebbe “favorire” i club “minori” nelle competizioni come la Coppa Italia: infatti, in Inghilterra, le partite di coppa si giocano “in casa” della squadra appartenente alla divisione minore; questo permetterebbe alla squadra “inferiore” sia di evitare di affrontare i costi dovuti al trasporto e al soggiorno.
In ultima istanza si potrebbe pensare all’introduzione del salary cap, ossia un budget massimo a disposizione delle squadre per i contratti dei propri giocatori come già avviene in NBA: in base a questo principio si rispetta più facilmente il fair play finanziario e i giocatori scelgono la squadra in cui andare a giocare indipendentemente dal salario (dato che tutti i club dispongono potenzialmente delle stesse risorse). A questo proposito, però, occorre aggiungere che l’introduzione del salary cap dovrebbe essere una scelta di comune accordo tra le varie leghe dei vari campionati europei per evitare squilibri: infatti le squadre non sottoposte ai vincoli del salary cap avrebbero potenzialmente maggiori disponibilità monetarie per gli stipendi rispetto a quelle sottoposte ai vincoli del salary cap, risultando destinazioni maggiormente “appetibili” per i giocatori.
Raffaele Simonetta
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