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DAD: effetti collaterali

Quattro è il numero di mesi in cui è stato possibile per i ragazzi italiani frequentare fisicamente l’ambito scolastico e universitario.

La didattica a distanza ha inizialmente tentato di rispondere ad una situazione di emergenza che si credeva sarebbe stata momentanea, ma risulta oggi la normalità.

È doveroso chiarire che la scuola non è un luogo di contagio: l’Istituto Superiore di Sanità dichiara che la scuola non è uno dei luoghi in cui si è registrato il maggior numero di contagi poiché solo il 2% dei focolai è riconducibile alle classi italiane. Questo nuovo modo di fare scuola, però, ha lacerato le relazioni umane e interpersonali e le speranze della maggior parte degli studenti, fino a casi estremi in cui alcuni hanno deciso o sono stati obbligati ad abbandonare il percorso di studi.

Save the Children, in collaborazione con IPSOS, ha realizzato un rapporto sui primi sei mesi di attività della d.a.d. e di come questa sia stata vissuta dai giovani italiani.

Il primo dato preoccupante riguarda il loro stato d’animo. I dieci aggettivi più comuni utilizzati per descrivere il loro sentimento prevalente sono: stanchezza, incertezza, preoccupazione, irritabilità, ansia, disorientamento, nervosismo, apatia, scoramento, esaurimento (dal più comune al meno comune). Dieci aggettivi che descrivono come tale prolungata didattica a distanza abbia peggiorato notevolmente lo stato psichico dei giovani: nessuno si addice ad un giovane diciottenne nel pieno della sua vita.

Purtroppo, però, questo non è stato l’unico dato a destare preoccupazione, difatti è ancora più allarmante quello sulla dispersione scolastica. Il 72% dei ragazzi dice di avere in classe almeno un compagno che sta accumulando molte più assenze rispetto allo scorso anno, il 28% afferma che, dal lock-down di primavera, vi è almeno un proprio compagno di classe non più frequentante. Secondo IPSOS e Save the Children si possono stimare prudenzialmente 34mila studenti delle superiori come potenziali dispersi nel settore dell’istruzione. L’abbandono è dovuto principalmente alla scarsa disponibilità tecnologica offerta e alla difficoltà a concentrarsi durante le lezioni, come raccontano gli stessi ragazzi:


C'è una ragazza che è stata assente fino a tre settimane fa, non aveva mai partecipato nemmeno a una lezione perché non aveva abbastanza giga per frequentare…”

Una ragazza ha partecipato ad una sola videolezione perché non ha il Wi-Fi a casa e non riesce a seguire le lezioni dato che internet serve anche al fratello più piccolo.” (Save the Children)


A causa di una scuola ormai “in sordina” per uno studente è molto più semplice abbandonarla senza che nessuno se ne accorga, nel sordo silenzio di un microfono spento.

Anche l’attuale crisi economica, in alcuni casi, non permette ai ragazzi appena diplomati di far fronte ai costi previsti per una formazione universitaria. Il 6% dei ragazzi dichiara che, nonostante abbia precedentemente pensato di iscriversi all’università, adesso, a causa delle difficoltà economiche della propria famiglia è costretto a cercarsi un lavoro. Il 3% invece sta valutando di lasciare la scuola per dare una mano ai genitori, anch’essi pesantemente colpiti dai problemi economici dovuti alla pandemia. Il sociologo e saggista Richard Wilkison mostra come una mancata formazione universitaria e minori qualifiche portino a repentaglio i tassi di reddito e di crescita futuri per gli stessi ragazzi, a cui spetterà il compito di ripagare i debiti causati dal Covid-19.

Se la scuola è “in sordina”, allora alle università italiane sono state completamente tagliate le corde. Degli universitari si sente parlare sempre meno e viene dedicata loro molta poca attenzione. Parlando con studenti di Milano, un ragazzo dell'Università degli Studi di Milano racconta di come, nel primo semestre, abbia avuto la possibilità di frequentare le lezioni in presenza solamente per cinque giorni. Al Politecnico, dal momento che le lezioni hanno avuto inizio già ai primi di settembre, la possibilità di andare in università in presenza è stata leggermente maggiore, ma sempre misera.

A tutti gli universitari italiani è concesso andare in biblioteca a studiare o a seguire le lezioni online, concessione che diventa l’unica via d’uscita per un minimo di relazione sociale. Le biblioteche sono sempre più colme e spesso i ragazzi si trovano ad ascoltare la lezione in modalità online in biblioteca (distanziati forse anche meno di quanto lo sarebbero in aula).

Inoltre, molte matricole universitarie non conoscono ancora i loro compagni di classe e non hanno mai visto la loro sede universitaria, situazione tristemente frequente per i fuori sede, o, se anche avessero avuto la possibilità di frequentarla, non sono riusciti a creare rapporti stabili. Così accade che poi un ragazzo, nemmeno tanto convinto del percorso di studio intrapreso, dopo mesi passati davanti a un computer e a studiare da solo nella sua camera, decida di lasciare l’università. Viene a mancare lo stimolo ad impegnarsi e ci si abbandona a un mondo del lavoro sempre più saturo.


Questi sono dati ed esperienze che sicuramente non fanno piacere a nessuno, eppure in Italia sembra essere l'unico scenario possibile ed inevitabile.

Non è così per tutti. Infatti, in molti altri paesi, nonostante la situazione epidemiologica sia simile, se non peggiore della nostra, la sensibilità dello stato nei confronti dell’istruzione è stata ed è notevolmente differente.

Partiamo dalla Gran Bretagna: si è diffuso il virus e nel marzo 2020 le scuole hanno chiuso, ma non per tutti, come invece è successo in Italia. Sono stati autorizzati a recarsi a scuola i figli dei cosiddetti “key-workers” (medici, infermieri, autisti di mezzi pubblici, personale del supermercato, tutti i lavoratori che non hanno potuto lavorare smart-working). L’idea dei key-workers è risultata una scelta consona al diritto all’istruzione e ha permesso alle mamme di non lasciare il lavoro per guidare i figli con la didattica a distanza poiché i mariti erano tenuti a recarsi al lavoro tutti i giorni. Le scuole hanno poi riaperto a giugno 2020, anche se dopo poche settimane ci sono state le vacanze estive: una sola settimana di scuola in presenza può rivelarsi preziosa e utile per l’apprendimento. Da settembre a gennaio le scuole sono state aperte con chiusure localizzate in caso di un aumento preoccupante di casi positivi. A febbraio 2021 le scuole sono rimaste aperte solo per i figli dei key-workers e dall’8 marzo hanno riaperto per tutti gli studenti e le studentesse, nonostante l’intera popolazione sia tutt’ora in lock-down fino al 13 di aprile. Per garantire la sicurezza ed evitare l'insorgere di focolai, lo stato inglese sottopone gli studenti a due tamponi a settimana. Boris Johnson ritiene che il primo passo per la normalità debba partire dalle scuole e scrive su Twitter: "Oggi gli alunni tornano nelle scuole in Inghilterra. Questa è sempre stata una delle nostre priorità e il primo passo della nostra roadmap per il ritorno alla normalità”. Una posizione completamente opposta rispetto allo stato italiano, sempre pronto a lasciare indietro l’istruzione a favore di qualsiasi “esercizio commerciale”.

In Francia, invece, le scuole sono rimaste aperte fin da maggio 2020, mentre adesso, in forza del peggioramento della situazione epidemiologica, è concesso solo agli universitari andare a lezione un giorno a settimana con il 50% degli alunni in presenza. La priorità dello stato francese è sempre stata quella di lasciare aperte le scuole: per i key-workers, la situazione è analoga a quella britannica, senonché la Francia aggiunge la possibilità per il genitore di prendere un giorno di pausa dal lavoro se al figlio non è permesso andare a scuola.

Un’attenzione maggiore è presente anche in Spagna e Germania e in molti altri paesi europei.


In definitiva, nessuno esige che le scuole siano aperte come prima dell’emergenza pandemica, ma ciò che si chiede è un’attenzione maggiore nei confronti degli studenti e delle studentesse italiani: un equo bilanciamento tra il diritto alla salute e il diritto d’istruzione.

Per cause di forza maggiore ai ragazzi è stata tolta una parte del loro presente, non permettiamo che vengano privati anche del loro migliore futuro.



Luca Crepaldi

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