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E se avessi scelto diversamente?

E se avessi scelto diversamente, ora dove sarei?

Non ti è mai capitato, nella frenesia di ogni giorno, di fermarti un istante e chiederti: “É davvero questo il meglio che posso essere? Qual è la persona che ogni mia decisione, persino la più banale, mi sta portando a diventare? Posso ancora cambiare chi sono? Ma, soprattutto, avrei realmente il coraggio di farlo?”. Non posso fare a meno di confrontarmi con chi mi è intorno e vedere che nonostante ogni mio piccolo successo c’è sempre qualcuno davanti a me. Sempre qualcuno che è un passo avanti, mentre io resto indietro, inerte, incapace di dare alla mia esistenza quella svolta tanto agognata. E mi chiedo perché, cosa manca, cosa mi impedisce di esser come loro; finché non realizzo che l’unico ostacolo, l’unica causa della mia insanabile insoddisfazione sono io. D’altronde, riprendendo le parole di J. P. Sartre, “l’uomo è ciò che si fa”: non Dio, non il destino, ma l’uomo, l’unico diretto responsabile delle proprie scelte e azioni. Quando tra i banchi di scuola mi misurai per la prima volta col pensiero sartriano, mi scontrai con una verità di cui, in fondo, ero sempre stata consapevole, una verità fatta di possibilità ma anche di responsabilità e colpe che non sempre si è disposti a accettare: “L'uomo non è niente altro che quello che progetta di essere; egli non esiste che nella misura in cui si realizza; non è dunque niente altro che l'insieme dei suoi atti, niente altro che la sua vita.” Essa non è altro che una consapevolezza che consola e intimorisce allo stesso tempo: si acquista il potere di rendersi felici, ma si perde la speranza di ricevere un giorno, improvvisamente, come un regalo tanto atteso o una ricompensa meritata, una qualche forma di allegria, senza che si faccia nulla per ottenerla. Si perde l’illusione di credere che ogni cosa abbia un senso, una ragion d’essere, persino quei mali di cui siamo stati vittime, spettatori e senz’altro artefici. Non c’è alcun senso profondo, se non quello che l’uomo sceglie di darvi. Non c’è alcun disegno predefinito, se non quello che l’uomo progetta per sé. È inutile cercare fuori di sé un colpevole per la situazione in cui ci si trova: prima di guardare a ciò che è fortuito o imprevedibile, all’azione altrui, a ogni impedimento, è necessario puntare il dito contro se stessi e chiedersi: ‘’Ho fatto realmente tutto ciò che era in mio potere per raggiungere il mio scopo? Per modificare il corso degli eventi?’’.

Non è semplice rispondere sinceramente, è facile soccombere di fronte agli obblighi e alle aspettative altrui, confondere i propri desideri con quelli degli altri, vinti dall’incapacità di scegliere realmente per sé. Ci si riduce a condurre quella “esistenza inautentica” di cui parla Heidegger: l’esistenza del “si dice” e del “si fa” in cui la personalità umana di fatto si annulla e ogni azione non è altro che un puro atto meccanico, frutto delle abitudini e consuetudini odierne, in cui si pronunciano parole vuote, suoni senza valore e senza significato. È necessario coraggio per affermare la propria autenticità, per scegliere di esser qualcuno diverso da colui che gli altri vorrebbero o si aspettano che tu sia. È necessario il coraggio di esporsi, di fare non ciò che “si fa”, ma ciò che si vuole fare. È ancora più difficile quando non si sa realmente ciò che si vuole. Così tante possibilità, eppure ogni strada appare come un vicolo cieco: quale percorrere, sapendo che scegliere l’una significa necessariamente abbandonare la possibilità di percorrere l’altra, di raggiungere il luogo cui questa ci avrebbe portato? Come sapere cosa si cela alla fine di ogni via, cosa è adatto a renderci felici? Ogni scelta mi getta in uno stato indefinito di angoscia e turbamento, e non solo le decisioni più significative, ma persino quelle più irrilevanti: vorrei poter sperimentare ogni possibilità, scegliere tutto e non precludermi niente. Vivere ogni scenario, assaggiare ogni gusto che potrei dare alla mia esistenza e solo alla fine sceglierne uno. Ma non è un potere che ci è concesso. Scegliamo senza conoscere realmente l’oggetto delle nostre scelte, ci buttiamo a occhi chiusi in un abisso, aspettandoci di trovare sul fondo quel futuro ideale costruito nella nostra mente, per poi realizzare di voler tutt’altro che quello. Difficilmente le aspettative sono conformi alla realtà. Tuttavia è un rischio che non si può evitare: meglio tentare e sbagliare, restando padroni della propria vita, piuttosto che lasciare agli altri il potere di decidere al posto nostro. Si finirebbe altrimenti col vivere un’esistenza che non si sente come propria: non si sa cosa si vuole, né chi si è, né chi si vuole essere. Non ti è mai capitato di guardare alla tua vita e sentirti un estraneo? Di subire ogni evento, più che di viverlo profondamente? E allora che fare? Smettere di aspirare a essere qualcuno che non si è, smettere di cercare di essere come gli altri sono. Prendere quella decisione che ci fa tanto paura. Soddisfare quel desiderio inconfessato, soffocato dai doveri e dalla paura. Scegliere e assumerne con coraggio le conseguenze: imparare a dire di no agli altri e di sì a se stessi.



Gabriella De Leonardis

 
 
 

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