Ecomafie: dove finiscono i nostri rifiuti?
- resethica
- 7 mag 2022
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Nell'epoca del consumismo tutti noi tendiamo a dare meno valore a ciò che acquistiamo e poi, una volta averne usufruito, gettiamo a cuor leggero, forti del fatto che le risorse sembrerebbero apparentemente infinite. In realtà siamo il prodotto di un’economia lineare, basata sul presupposto che i beni debbano avere una vita limitata che inizia con l’acquisizione delle materie prime, e termina con la loro trasformazione in prodotti, pronti alla distribuzione. Tali prodotti finiti vengono acquistati e “consumati” fino a giungere all'ultimo anello di questo sistema: la generazione dei rifiuti.
Il cosiddetto “take, make, dispose model” è concepito come un sistema che non prende in considerazione il numero limitato di risorse disponibili sul pianeta; è bene tenere conto della scarsità di tali risorse. Dietro alle abitudini quotidiane della formazione e dello smaltimento dei rifiuti vi è un intero sistema economico, politico, strettamente legato alla salute e, purtroppo anche alla criminalità organizzata.
A partire dagli anni Ottanta, la Cina ha accolto circa la metà dei rifiuti dei paesi industrializzati e l’Unione Europea è fra i primi esportatori. Negli ultimi anni, dato il problema dell’inquinamento del suo territorio, la Cina ha chiuso le porte ai rifiuti esteri, causando non pochi problemi a livello europeo e mondiale. Questo ha dato rilevanza ad un fenomeno definito Ecomafia. I primi reati che segnano il legame tra mafia e rifiuti, più specificatamente tra ecomafia e rifiuti, risalgono al 1991.
Ma “Ecomafia” è un neologismo coniato per la prima volta da Legambiente nel 1994, associazione ambientalista che definisce tutte le attività illegali delle organizzazioni criminali di stampo mafioso che arrecano danni all’ambiente.
Tra le attività delle ecomafie compaiono non solo il traffico e lo smaltimento illegale dei rifiuti (nocivi e non) ma anche l’abusivismo edilizio su larga scala, gli incendi boschivi e l’illegalità nel mercato agro alimentare. Questo insieme di crimini ambientali frutta alle ecomafie un indotto milionario.
Il 45% degli illeciti legati all’ambiente e all’operato delle ecomafie si concentrano nelle regioni della Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. E` stata infatti definita “Terra dei Fuochi” una estesa area della Campania a cavallo tra le province di Napoli e di Caserta, interessata dall’attività illegale delle ecomafie e in particolare dall’interramento illegale di rifiuti tossici e speciali. I roghi dei rifiuti tossici sprigionano nell’aria sostanze nocive come la diossina, pericolose per la salute degli esseri viventi che ne vengono a contatto.
Le indagini scientifiche hanno infatti evidenziato una correlazione tra i fenomeni in atto nella Terra dei Fuochi e l’aumento del numero di casi di neoplasie tiroidee e altri tumori.
Tale fenomeno assume una notevole rilevanza perché, assieme alle mafie, agiscono i manager delle aziende, amministratori locali e tecnici. Sono dunque imprese private, amministratori locali e organi di controllo corrotti a costituire reti che compiono reati ambientali. Questi soggetti riuniti costituiscono una vera e propria associazione criminale, che conta su pratiche collaudate di corruzione, frode ed evasione fiscale. I reati in questo campo possono avvenire in ogni fase del ciclo: produzione, trasporto e smaltimento. L’azienda può dichiarare il falso su quantità o tipologia di rifiuti da smaltire per dirottare il carico o farlo sparire, oppure affidare l’operazione a imprese che lavorano sottocosto consapevoli del loro utilizzo di metodi illeciti. Ma l'Italia è anche crocevia di
traffici internazionali di rifiuti, provenienti dai paesi europei e destinati a Nigeria, Mozambico, Somalia.. Lo smaltimento illegale di rifiuti tossici o di scorie nucleari da parte di aziende che hanno ricevuto l'appalto per la loro depurazione, gestione e messa in sicurezza, si traduce in un giro d’affari che nel 2018 ha fruttato all’ecomafia ben 16,6 miliardi di euro.
Per far fronte a questo fenomeno pervasivo, nel 2015 è stata approvata la Legge 68/2015, strumento importantissimo nella lotta alla criminalità ambientale, sia sul fronte repressivo sia su quello della prevenzione. In questo modo la Magistratura si dota di strumenti di indagine più ampi e adeguati ad arginare il fenomeno delle ecomafie, a cominciare dall'introduzione nel Codice Penale dei delitti contro l'ambiente, detti “ecoreati”, fino a quel momento di natura contravvenzionale. I reati introdotti sono l’ inquinamento ambientale, il disastro ambientale, il traffico e l’abbandono di materiale ad alta radioattività. Nonostante però si sia cercato di reprimere penalmente in maniera
più rigida alcuni comportamenti criminosi, questo non ha sortito molti effetti sperati.
C'è stata di fatto una flessione del numero dei reati, soprattutto per quanto riguarda gli incendi boschivi e il traffico di beni culturali, ma aumentano invece i reati legati allo smaltimento illecito di rifiuti, alle costruzioni abusive, al traffico di animali e alle infiltrazioni nel settore agroalimentare; il giro di affari è aumentato così come sono aumentati i clan mafiosi che operano in questo settore, e questo è un chiaro sentore del fatto che siano mutati i modi di operare delle organizzazioni stesse, minimizzando i rischi ed aumentando i profitti.
Federica Lo Presti
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