I nuovi casi di Covid-19 aumentano esponenzialmente di giorno in giorno. L’emergenza sanitaria è di nuovo in atto, gli ospedali sono colmi e le terapie intensive iniziano a tremare. Una storia già vissuta.
Francia e Inghilterra sono già dentro il tunnel e i politici di tutto il mondo si stanno interrogando sul da farsi. Oggi, però, la popolazione, a differenza di febbraio, è stremata e spaventata perché ora sa a cosa sta andando incontro e non crede di avere le forze per continuare.
Economia e salute con il passare dei giorni diventano sempre più rilevanti e cercano di prendersi a vicenda lo spazio che spetta loro. Economia e salute, per una seconda volta, arrivano a scontrarsi e risultano essere incompatibili.
L’incompatibilità tra due norme viene definita in linguaggio giuridico “antinomia”: il rispetto di una comporta necessariamente la deroga dell’altra. Attualmente vediamo scontrarsi più norme: l’art. 4 Cost., che garantisce ai cittadini il diritto al lavoro, l’art. 17 Cost., che prevede il diritto di riunirsi pacificamente, e il diritto alla salute ex art. 32 Cost.
Quando ci si trova di fronte ad una antinomia è necessario stabilire delle gerarchie per decidere quale delle norme abbia più importanza e debba quindi prevalere: una norma costituzionale si impone gerarchicamente rispetto ad una norma legislativa e quindi in caso di incompatibilità si darà più importanza alla Costituzione. Il problema, però, è che oggi ci troviamo davanti a un contrasto fra principi costituzionali e la soluzione non è disciplinata da nessuna norma positiva.
La tecnica che viene impiegata di solito è quella della ponderazione o bilanciamento: ai due principi viene dato un determinato valore, stabilendo fra essi una gerarchia assiologica, costruita dall’interprete a seconda della situazione in cui ci si trova, e viene fatto prevalere, momentaneamente, il principio che nella situazione contingente è ritenuto più importante .
Ora, come si può notare, il problema della gerarchia assiologica è quello dell’interpretazione, in quanto nessuna legge e nessuna autorità ci potrà mai dire con certezza quale dei due principi sia il più importante: la questione è relativa a una scelta personale ed è proprio per questo che in questi giorni vediamo nelle piazze i sostenitori dell’economia e sul web quelli della salute.
Ma andiamo a vedere più nel dettaglio le ragioni che sostengono le due posizioni.
Il sociologo e politologo tedesco Habermas in un’intervista per “Le Monde “ dello scorso aprile ci riporta che il Consiglio tedesco di etica ritiene che non sia possibile prendere una qualsiasi decisone che accetti la possibilità di morte delle singole persone. Posizione che è stata seguita dalla maggior parte degli Stati: siccome la crisi sanitaria è imminente, non si può far altro che far prevalere la salute. Infatti mentre l’economia può essere gestita attraverso fondi, aiuti economici e risparmi, ora non ci si può permettere di andare avanti, come se nulla fosse, lasciando morire le persone nei corridoi degli ospedali perché non ci sono posti disponibili in terapia intensiva.
“Ci dovevano pensare prima, la situazione la conoscevano. Se non moriamo di Covid moriamo di fame”. È questo ciò che pensa chi è contrario a una chiusura totale: non si può restare chiusi per sempre e non c’è più la disponibilità economica per sopravvivere a un altro lockdown. In aggiunta, oltre all’economia, è la stessa salute ad essere sul piatto della bilancia dell’economia perché una nuova chiusura avrebbe notevoli effetti negativi sulla stabilità psichica delle persone e, quindi, “Se non moriamo di Covid, moriremo di tristezza”: la salute che entra in conflitto con se stessa.
Infine, c’è chi ritiene che economia e salute siano intrinsecamente connesse e non possano essere messe a confronto su una bilancia. Sintetizziamo ora due ipotesi.
La prima è molto fredda e analitica: le perdite per malattie sono costi economici, ogni persona ha un parametro statico che si definisce VSL (valore statico di una vita), che corrisponde ad un prezzo- in America corrisponde ad esempio a circa 10 milioni di dollari per persona- e quindi perdere vite significa anche, conseguentemente, perdere soldi.
La seconda ipotesi invece si focalizza sull’aspetto psicologico dell’economia ed è sostenuta, fra gli altri, dall’economista Carlo Cottarelli: poiché lo Stato non si è mosso precedentemente per aumentare i posti in terapia intensiva, non si può far altro che andare incontro a una nuova chiusura. Pochi, infatti, con il peggiorare della situazione, avrebbero il coraggio di uscire tranquillamente di casa sapendo che, nel caso in cui dovessero contrarre il virus, potrebbero non ricevere le cure necessarie, a causa, appunto, dei pochi posti disponibili in terapia intensiva. Alla luce di questa posizione, l’economia è destinata in ogni caso a lasciare spazio alla salute, in quanto dipendente da essa.
E tu, cosa ne pensi? Cosa faresti?
Luca Crepaldi
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