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Egli, Ella e... Ello?

In un mondo sfidato quotidianamente dall’inclusività, dal politically correct e dal

senso di fare giustizia, gli ostacoli da superare sembrano infiniti.

Una delle sfide che hanno rivestito la scena pubblica negli ultimi mesi riguarda la

neutralità di genere, tema molto caro per una persona non binaria, la quale rifiuta

lo schema maschio-femmina nel genere sessuale, ovvero per chi, a prescindere dal

sesso attribuito alla nascita, non riconosce di appartenere né al genere maschile né a quello femminile; per questo risulta più corretto utilizzare il pronome “loro”

(they/them) durante una conversazione.

Per comprendere meglio questa dizione, è necessario delineare sinteticamente la

differenza tra sesso biologico e identità di genere: il primo termine fa riferimento

all’appartenenza di un essere umano al sesso maschile, al sesso femminile, o ad

entrambi (caso dell’intersessualità), un’appartenenza che dipende dal patrimonio

genetico di ciascun essere umano; il secondo, invece, fa riferimento alla percezione di

sé come maschio, femmina, come maschio e femmina contemporaneamente, o come

nessuno dei due.

Risulta quindi chiaro come il sesso biologico sia indipendente dalle scelte individuali

e dalle condizioni sociali, mentre il genere è soltanto un costrutto sociale.

Tornando alle proposte di vari attivisti, associazioni e studenti, è stata di recente

presentata la richiesta presso l’università di Pisa di introdurre i bagni neutri, poiché

mantenere questa divisione binaria corrisponderebbe ad una “violenza di genere”.

Preso atto dell’importanza di un gesto simile, sorgono alcune domande legittime che

faticano a trovare risposta.

Innanzitutto, ci si potrebbe chiedere se l’università non possa occuparsi innanzitutto delle strutture carenti e di una migliore gestione del periodo pandemico, per poi concentrarsi in seguito su queste questioni comunque rilevanti, ma che investono una fetta ridotta di una comunità. Oltre a notevoli vantaggi potrebbero sorgere dubbi e problemi riguardo questa iniziativa e sull’effettiva sicurezza di questa decisione. I bagni neutri verrebbero utilizzati in maniera consona oppure potrebbero essere un incentivo ad altri tipi di violenza? Inoltre, essendo esso un bagno universalmente usufruibile, siamo sicuri che

incontrare in questo luogo così intimo persone di qualsivoglia genere (e non) non

creerebbe situazioni di disagio negli animi più “sensibili” o “tradizionalisti"?

A questa prima serie di interrogativi, si potrebbe replicare affermando che si tratta

meramente di contestualizzare la situazione; i bagni neutri in un’università possono

essere considerati sufficientemente sicuri, mentre lo stesso non si potrebbe dire se

fossero posti in altri luoghi, come ad esempio in una stazione di un borgo malfamato

di una grande metropoli, in cui il tasso potenziale di aggressioni e discriminazioni è

nettamente più elevato.


Un altro grande dibattito che ha avuto al proprio centro la neutralità di genere ha visto

coinvolta persino l’Accademia della Crusca. È piuttosto nota la bocciatura da parte di

quest’ultima dell’utilizzo della schwa, “ǝ", come lettera sostitutiva nelle desinenze

italiane per includere, attraverso l’uso di un segno inclassificabile, sesso e identità di

genere.

La principale ragione di questa scelta sembra essere puramente grammaticale. In

una lingua come la nostra, in cui sono fondamentali gli accordi per avere la coesione

testuale, una sostituzione di questo tipo porterebbe a conseguenze indicibili sul piano

della comunicazione e della comprensione testuale.

D’altro canto, possiamo ben affermare che il latino, la lingua mater da cui deriva

l’italiano, era ben a conoscenza del genere neutro, e ancora prima del latino il greco.

Questa stessa tripartizione si nota nella grammatica tedesca, la quale ci presenta “er”

per il maschile, “sie” per il femminile ed “es” per il neutro.

Uno spunto interessante di riflessione può essere visto nel fatto che, in questo

secondo idioma, la parola “bambino” sia caratterizzata da un genere neutro (das

Kind, die Kinder), come se stesse ad indicare che il bambino, una volta diventato

adulto, possa scegliere il proprio genere di appartenenza ed essere quindi uomo (der

Mann, die Männer), donna (die Frau, die Frauen) oppure essere semplicemente una

persona (das Mensch, die Menschen), senza rientrare in questo binarismo a volte così

stringente.

Si può quindi dire che siamo dinnanzi ad un progredito stadio di evoluzione della

lingua, o che perlomeno ci siano meno problemi rispetto alla nostra? Sarebbe

possibile stravolgere completamente la grammatica italiana per reintrodurre il genere

neutro, tenuto conto dell’esistenza di un potenziale pronome neutro, quale “esso”, che

tuttavia è limitato ad animali e cose? Gli interrogativi sono ancora molti e le risposte

sembrano essere ben lontane; cionondimeno, quel che pare logico pensare è che il

dibattito andrebbe spostato su una sfera ben differente da quella linguistica, optando

piuttosto per quella politica e/o culturale.

Ci troviamo quindi a delineare una situazione che man mano si sta diffondendo anche

nel resto del mondo, grazie ad una serie di iniziative. Tra queste, nell’ultimo anno in

Spagna è sorto il movimento “la ropa no tiene género”. Come suggerisce il nome,

l’idea è quella di abbattere i costrutti sociali secondo cui solo le donne possono

indossare abiti comunemente classificati come femminili e solo gli uomini posso

vestire completi individuati come maschili dalla società.

Il movimento, per l’appunto, nasce a seguito di un provvedimento disciplinare preso

nei confronti di uno studente presentatosi a scuola con una gonna; nei giorni

successivi non solo i compagni, ma anche alcuni professori, si sono presentati nelle

proprie aule con lo stesso indumento per mostrare solidarietà nei confronti del

ragazzo e per diffondere un chiaro messaggio di rottura col passato. Chi ha deciso che

il capo d’abbigliamento X sia per le ragazze e quello Y per i ragazzi? Se siamo coscienti del fatto che si tratta di cultura, perché non si può pensare ad un mondo in cui questo separatismo di un settore inanimato, come quello della moda, non esista?

Malgrado la bontà e il forte desiderio di progresso che trasudano queste iniziative, è

necessario tenere sempre a mente che più i cambiamenti sono grandi e riguardano

concezioni radicate nella società, tanto più risulta essere maggiore il tempo richiesto

per dar loro vita.

Dopo aver presentato questi quesiti, che sono solo alcuni dei numerosi inerenti ad un

così tema complesso, non ci resta che chiederci, con pura e semplice onestà

intellettuale, se sia questo il momento ed il luogo per questa trattazione e se la società

ne sia pronta, rimarcando ancora una volta che viviamo in una civiltà in cui si

confondono identità di genere e sesso biologico.



Alessandro Stampa

 
 
 

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