Ethical&Proud 2020
- Paola Scivoli
- 11 ott 2020
- Tempo di lettura: 2 min
È una notte di giugno del 1969. Otto ufficiali di polizia – tutti in borghese tranne uno – entrano nello “Stonewall Inn” del Greenwich Village di New York. È una retata. Il locale è un pub gay e di conseguenza, per motivi “morali”, la vendita di alcolici non è concessa (se non “sottobanco”).
Quella notte è pieno di gente e ad un tratto monta la “rivoluzione” (“it’s a revolution” urla Sylvia Rivera). Da un lato i clienti che si opposero all’ordine di chiudere per la vendita di alcolici senza licenza, all’arresto del proprietario e alla richiesta di uscire dal locale. Dall’altro la polizia.
Inizia uno scontro violento: i poliziotti non riescono a ripristinare l’ordine e l’agitazione non si placa nemmeno le notti successive.
Così è nato il Pride – cioè la parata dell’orgoglio non di essere gay, ma di essere diversi – che ogni anno celebra i moti di Stonewall. Da allora, durante il mese di giugno (il Pride Month), ovunque nel mondo, le strade si colorano di marce e parate arcobaleno, come arma non violenta contro la discriminazione e la stigmatizzazione di ciò che risulta socialmente scomodo solo perché “altro da sé”.
Il problema è che quest’anno marce e parate sarebbero state uno di quegli assembramenti che l’emergenza Coronavirus ci impone di evitare. Mentre per il senso del Pride non esiste restrizione. Ed essendo quest’ultimo null’altro che l’affermarsi, forse con forza, contro la negazione (non sempre altrui, talvolta propria) di sé, ci è parso necessario creare uno spazio, ancorché virtuale, dove ciascuno potesse esprimere appunto sé stesso.
Nel rispetto dei vostri segreti, infatti, abbiamo scelto la garanzia e il conforto dell’anonimato.
Questo, tuttavia, non può che indurci ad una riflessione: ancora oggi è bene sperare in una rivoluzione che pur senza marciare per le strade possa procedere nella mente di tutti.
Quando questa avverrà, ne siamo certi, non avranno più senso né il segreto né l’anonimato.
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