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Etica dei vaccini: nessun profitto sulla pandemia

Aggiornamento: 10 mag 2021

“Siamo tutti nello stesso mare, ma non di certo sulla stessa barca: c’è chi è su uno yacht e chi su una barchetta che naviga con difficoltà in quel mare di onde che è la pandemia”, come sostenuto da Nicoletta Dentico, esperta di cooperazione internazionale e diritti umani.


La campagna vaccinale sembra proseguire, seppur con qualche intoppo, piuttosto spedita in tutto il mondo.

Ah, forse no. Questo pensiero stigmatizza la classica deformazione della realtà a cui va incontro la maggior parte delle persone occidentali, che vivono in un relativo stato di benessere e sanno che entro un tempo relativamente breve i vaccini arriveranno anche per loro e tutto potrà tornare come prima. In realtà, la campagna vaccinale non procede affatto spedita in tutto il mondo.

Un report dell’Economist nel mese di febbraio evidenzia alcuni dati significativi in merito: metà della produzione di vaccini in corso è destinata al 15% della popolazione mondiale. Di questa, tuttavia, solamente il 18% abita i 54 paesi più ricchi del globo, gli stessi che si sono impadroniti del 40% degli ordini.

I dati riportano una distribuzione molto diseguale. Tuttavia, i paesi più ricchi si stanno adoperando in iniziative volte a far sì che le dosi siano destinate anche a quella parte del mondo tagliata fuori dagli ordini a causa delle crudeli leggi del mercato capitalista: più ricco sei, più hai diritto a vaccinarti.

Menomale che, già prima che iniziasse la campagna vaccinale, qualcuno si era accorto che queste leggi di mercato avrebbero portato ad acuire in modo eclatante le disuguaglianze: è infatti stato messo in piedi COVAX, un programma di acquisti globale creato nel giugno 2020 con l'obiettivo di garantire che anche i Paesi più poveri abbiano accesso ai vaccini. A guidarlo è l'Oms, insieme ad altri enti ed istituzioni, e l’approccio è filantropico: dentro COVAX si trovano governi, organizzazioni internazionali, umanitarie e anche case farmaceutiche che si autofinanzieranno con l’obiettivo di distribuire due miliardi di dosi entro la fine del 2021 ai paesi più poveri.

Fine ultimo del programma, a cui hanno aderito 190 Paesi, è di acquistare abbastanza vaccini contro il Covid-19 per immunizzare il 20% della popolazione più a rischio in tutto il mondo. Gli stati ad alto e medio reddito dovrebbero contribuire finanziariamente per poi ricevere una quota dei vaccini acquistati, mentre ai 92 Paesi più poveri questi verrebbero concessi gratuitamente.


Tutto bello, tutto molto bello: peccato che - come rileva il Sole 24 Ore - nonostante ciò, il 25 marzo COVAX abbia comunicato di avere distribuito finora 32 milioni di dosi di vaccino a 60 Paesi partecipanti, che equivale più o meno all’1% delle dosi previste dal progetto, mentre gli USA da soli hanno finora inoculato oltre 220 milioni di dosi e l’UE 107 milioni, equivalenti rispettivamente a circa il 17% e il 6% dei loro ordini totali.

Inoltre, uno dei limiti di questo programma è che a pieno regime coprirà solo il 20% del fabbisogno vaccinale delle popolazioni di quei Paesi: per il restante 80% si dovranno affidare comunque al mercato, e questo vuol dire aspettare finché tutti i paesi ricchi avranno ricevuto le dosi ordinate. Se ne riparla quindi in un inoltrato 2022, dove c’è il rischio di avere un vero e proprio ‘‘Apartheid vaccinale’’: pensate che quando gli USA, la Cina, l’Europa e i paesi ad alto reddito avranno vaccinato il 70-80% della loro popolazione (abbastanza da garantire l’immunità di gregge), i paesi africani e sud-asiatici solo uno scarso 20%. Parlare di sconfiggere la pandemia a livello globale in tempi relativamente brevi è del tutto velleitario: ci vorranno anni perché i Paesi a basso reddito possano intravedere la luce in fondo al tunnel, in barba alla povertà e alle disuguaglianze.

La realtà dei fatti ci dice, infatti, che nonostante le belle intenzioni di COVAX, le cose non stanno proprio andando come progettato. In una recente dichiarazione, il presidente americano Biden ci rivela come stanno le cose: “Se avremo un surplus, lo condivideremo con il resto del mondo, ma inizieremo assicurandoci che gli americani si vaccinino prima”. Solidarietà sì, ma non troppa.


Un coro sempre più nutrito di esperti sta tuttavia evidenziando come questo nazionalismo dei vaccini non sia solo moralmente discutibile, ma anche dannoso per gli stessi paesi che lo stanno mettendo in pratica e la ragione epidemiologica di tale asserzione risiederebbe nella frase “Il virus non può essere sconfitto da nessuna parte finché non è sconfitto dappertutto”.

Più il virus continua a diffondersi in un contesto di immunità precaria, più alte sono le possibilità di sviluppo di varianti, potenzialmente capaci di rendere i vaccini che già abbiamo meno effettivi o, addirittura, inutili. Pronti a tornare a marzo 2020?

Una simulazione comparativa è stata realizzata tra un mondo in cui vi è una distribuzione non equa dei vaccini e uno in cui invece vi è una distribuzione più equa: la riduzione della mortalità arriva al 60% nel secondo scenario, mentre nel primo si ferma al 30%. inoltre perfino le nazioni più ricche non saranno in grado di attuare una ripresa economica degna di questo nome se i paesi in via di sviluppo continuano ad essere esclusi: nel peggiore dei casi, secondo uno studio realizzato dalla Camera Mondiale del Commercio, si prevede che queste iniquità possano costare all’economia globale circa 9 triliardi, la maggior parte dei quali sulle spalle dei paesi a PIL più alto. Sarebbe quindi una sconfitta per tutti in termini di vite umane, moralmente ed economicamente.


Un’idea per rendere i vaccini accessibili a tutti in brevi tempi (e cercare di sconfiggere il virus prima che lui sconfigga noi) c’è: si chiama abolizione dei brevetti vaccinali. Oggi, un movimento che coinvolge 57 paesi, la direzione dell’Oms, centinaia di scienziati e organizzazioni sparse in tutto il mondo ha sollevato la richiesta che le grosse case farmaceutiche produttrici di vaccini aboliscano temporaneamente i brevetti e la proprietà intellettuale sui vaccini, così che molte nazioni possano produrre direttamente la quantità loro necessaria. Le norme sulla proprietà intellettuale garantiscono alle aziende farmaceutiche il monopolio della produzione e, di conseguenza, prezzi elevati: chi può pagare si aggiudica le dosi di cui ha bisogno mentre molti Paesi poveri non sono in grado neanche di entrare nella contrattazione. Affinché il vaccino sia disponibile per il maggior numero di persone è indispensabile aumentare la produzione e abbassare i prezzi.

Purtroppo tutto ciò non può realizzarsi con facilità: “La ragione principale risiede nelle regole sui brevetti stabilite dagli accordi Trips sulla proprietà intellettuale, approvati nel 1995 all’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio. Secondo questi accordi, ogni azienda che produce un farmaco o un vaccino ne ha il monopolio per 20 anni. Questo significa che per due decenni può decidere come, dove, quando e quanto produrre. Quindi ha un fortissimo potere contrattuale anche sul prezzo… una delle clausole inserite in questi accordi, quella sulle licenze obbligatorie, prevede che gli stati che si trovano in una pandemia e in difficoltà economica sono autorizzati a produrre direttamente i farmaci salvavita, scavalcando il brevetto.” Queste sono le parole di Vittorio Agnoletto, professore di politiche di salute all’Università Statale di Milano e rappresentante italiano nel coordinamento dell’ICE (uno strumento istituzionale previsto dall’UE - basato sul raccoglimento di firme - volto a modificare norme in vigore nell'Unione Europea o ad introdurne di nuove) sull’abolizione dei brevetti per i vaccini. Quest’ultimo, in particolare, ha molteplici obiettivi, tra i quali quello che “i paesi dell’Ue percorrano la strada delle licenze obbligatorie e che la Commissione europea non cerchi di bloccare questo percorso”. Inoltre, si richiede che “l’Unione ricontratti con le aziende che stanno producendo i vaccini e che hanno ricevuto fondi pubblici. Noi pensiamo che a prescindere dalla discussione generale sui brevetti, se sono realizzati grazie anche a fondi pubblici, quei brevetti debbano essere pubblici […] e permettere una diffusione che va oltre sia ai monopoli capitalistici sia all’operato a loro troppo favorevole dei governi.” Infatti, per quanto concerne la produzione con fondi pubblici, la KENUP Foundation, un ente che supporta la ricerca medica a fini sociali, ha stimato che i governi abbiano speso circa 93 miliardi di dollari per vaccini e terapie; inoltre, i laboratori si sono avvalsi di ricerche effettuate dalle università pubbliche. I governi sono ancora una volta completamente assoggettati alle case farmaceutiche.

Ad onor del vero, bisogna riconoscere che alcune case farmaceutiche si sono dimostrate sensibili a queste tematiche e si sono adoperate in tal senso: Pfizer/Biontech, Moderna e Astra Zeneca hanno conseguito accordi per fornire milioni di dosi al programma COVAX a prezzi calmierati. Inoltre, Moderna ha momentaneamente sospeso la protezione dei suoi brevetti, consentendo alle altre aziende di accedere alle tecnologie indispensabili per la produzione dei vaccini (solo fino a quando saremo “fuori dall’emergenza”), mentre Astra Zeneca e Johnson & Johnson vendono in tutto il mondo a prezzi di costo, avendo dichiarato fin dall’inizio di non voler fare profitti (benché in un’inchiesta, il Guardian stimi, comunque, delle entrate di una decina di miliardi per Johnson & Johnson e almeno tre per Astra Zeneca).


Tuttavia, questo non basta. Sono tanti gli appelli fatti da attivisti e organizzazioni, che indicano l’abolizione dei brevetti e della proprietà intellettuale come unica strada percorribile.

Per Gino Strada: “Essere curati è un diritto universale e un bene comune, ed è conveniente per la società che venga tutelato nell’interesse di tutti: è una responsabilità pubblica che non può esser delegata all’intraprendenza privata né al mercato.” Emergency e Oxfam hanno lanciato un appello nel quale chiedono all’odierno Consiglio Ue “di agire immediatamente per sospendere i monopoli farmaceutici”. L'Onu ha rivolto un appello a realizzare con urgenza un "piano globale per i vaccini" anti-Covid: "Il mondo ha urgentemente bisogno di un piano globale delle vaccinazioni che riunisca tutti quelli che hanno il potere e le capacità scientifica, tecnologica e finanziaria richieste", ha asserito il segretario generale Antonio Guterres.

Le case farmaceutiche hanno fatto ricerca e prodotto vaccini anche grazie ai grossi finanziamenti governativi, che in tutto si aggirano attorno ai 100 miliardi: anche tenendo conto dell’impegno di alcune di queste in tema di ribasso dei prezzi e dei profitti, è possibile che sia reso privato e oggetto di lucro ciò che è stato in larga parte finanziato con soldi pubblici? È possibile che in una società che si professa solidale e aperta i soldi valgano più delle vite umane? È possibile che i miliardi di profitti delle grosse case farmaceutiche valgano più dei milioni di morti causati dalla pandemia?

Il diritto alla vita e alla salute, cardine dei diritti umani, viene oggi mortificato dalle case farmaceutiche in nome dei profitti. Per una società più equa e rispettosa dei diritti umani, abbiamo bisogno che l’abolizione dei brevetti diventi reale, affinché tutti possano tornare a navigare il mare della pandemia sulla stessa barca solida e sicura.


Giovanni Colombo






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