Sono almeno due le generazioni che stanno attraversando il momento più buio della loro vita. Anche provando a distogliere il pensiero, in questi giorni risulta difficile affrontare temi che non riguardino direttamente ciò che, più di ogni altra cosa, sta sconvolgendo le vite di tutti e che sta cambiando, in maniera radicale, anche le abitudini più consolidate nella quotidianità: la grave epidemia da covid-19. A fronte di questo disagio, bisogna però prendere atto che un numero sempre crescente di cittadini, amministratori e associazioni, nonostante le distanze fisiche imposte dalle autorità, hanno dimostrato grande vicinanza nei confronti dei più deboli, dei soggetti più a rischio, di chi attraversa una fase di difficoltà con più fatica degli altri. Una grande comunità che ha mostrato di conoscere la solidarietà e di essere pronta a praticarla.
Ed è proprio rispetto a questo spirito di solidarietà che vale la pena interrogarsi. Se a livello nazionale e locale si assiste quotidianamente a scene di sostegno reciproco, lo stesso non può dirsi se si volge lo sguardo al più ampio panorama dell'Unione Europea. Su questo fronte, al contrario, si assiste quasi ogni giorno, a una serie di confronti-scontri tra i Governi nazionali, i quali, noncuranti degli impegni assunti con la firma dei Trattati dell’Unione, sembrano incapaci di dare seguito alle proprie responsabilità.
È un momento cruciale per l’Unione. L’epidemia, ha messo l’Europa unita davanti a un bivio.
Da un lato, la possibilità di diventare definitivamente un’Europa degli Stati; dall’altro, l’opportunità di fare il salto di qualità nella direzione di un’Europa delle Istituzioni.
Guardando agli aspetti formali, l’Europa degli Stati non sarebbe poi così diversa da quella attuale; tuttavia molto cambierebbe nella sostanza. Poiché si assisterebbe a un inevitabile affievolimento di quella spinta europeista, di quello spirito di comunità e di integrazione, che invece fin qui aveva fatto da contorno al perseguimento di interessi economici nazionali attraverso la creazione e la regolamentazione dello spazio economico comune. Uno spirito che, con buona pace delle forze anti-europeiste in ascesa in tutto il continente, stava conoscendo una posizione sempre più centrale.
Al contrario, un’Europa delle Istituzioni affiderebbe maggiori responsabilità agli organi europei, affinché predispongano e realizzino un piano di interventi che vada oltre gli egoismi nazionali.
Che sgombri il campo da quelle visioni partiste che al momento stanno oscurando quel concetto di comunità che si stava creano dopo decenni di impegno.
Un simile percorso non porterebbe solo a un rafforzamento dei rapporti di collaborazione e condivisione tra i governi dei paesi membri, ma anche e soprattutto del senso di appartenenza e comunità degli stessi cittadini. La solidarietà, d’altronde, non porta solo alla condivisione di risorse economiche, la cui importanza è senz’altro primaria nel breve periodo, ma anche di un sistema di valori comune in cui riconoscersi.
Questo è dunque l’interrogativo: un’Europa degli stati o un’Europa delle istituzioni? Un’Europa che sia solo il luogo geografico in cui perseguire ciascuno i propri interessi, o un’Europa che faccia sintesi delle esigenze nazionali per farne scaturire un interesse comune da perseguire?
Probabilmente sarà il Consiglio Europeo a stabilirlo per noi.
Esiste una generazione che, forse per le circostanze in cui è venuta al mondo, nell’Europa ha sempre visto tante possibilità. E che vede il proprio futuro inevitabilmente legato in maniera inscindibile all’esistenza di uno spazio europeo condiviso. Una generazione che oltre a riconoscere un’orgogliosa appartenenza al Paese di nascita, rivendica anche la propria cittadinanza europea.
Giampiero Settipani
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