top of page

Karoshi: il sovraccarico di lavoro

La morte per sovraccarico di lavoro è un fenomeno che sta prendendo sempre più piede al giorno d’oggi, particolarmente in alcune zone dell’oriente. “Karoshi” è difatti il termine giapponese che descrive la morte per eccesso di lavoro, accompagnato anche dal suicidio come conseguenza alla depressione sofferta da chi svolge ore straordinarie senza essere retribuito. In Giappone, lavorare fino allo sfinimento è considerato un gesto ammirevole, che dimostra la propria volontà e il proprio rispetto nei confronti del posto in cui si lavora. Anche quando non richiesto esplicitamente, sono gli stessi dipendenti a scegliere volontariamente di trattenersi in ufficio oltre l’orario previsto. È un fenomeno così profondamente radicato nella cultura giapponese che le campagne di sensibilizzazione hanno dato scarsissimi risultati fino ad ora. Rifiutare di lavorare ore extra è quasi umiliante per i lavoratori, che cercano sempre di dare il loro massimo, nonostante spesso sia il loro stesso fisico a non farcela più.

Nonostante il fenomeno sia più consolidato nelle aree orientali ciò non significa che esso sia del tutto assente nel nostro paese, difatti secondo i risultati di uno studio condotto per anni dalla Federazione Italiana Aziende Sanitarie Ospedaliere (FIASO) su un campione di circa 65 mila lavoratori che ha coinvolto 19 tra Asl e Ospedali, lo stress lavoro-correlato in Italia colpisce un lavoratore su quattro.

Il karoshi è il burnout del Giappone che porta alla morte: i settori in cui si lavora di più sono quelli dell’IT e della comunicazione, ma anche i settori di servizi, di trasporti, di accademie. Le cause principali di morte per Karoshi sono infarto dovuto allo stress, suicidio, oppure morte per malnutrizione. Un esempio è dato proprio dalla morte di una giovane ragazza: Miwa Sado, che lavorava come reporter per la NHK, ovvero una stazione radiofonica e televisiva pubblica giapponese. Miwa nel lontano 2013 non era sul treno per andare a lavoro perché quel giorno fu trovata morta sul letto del suo appartamento. La ragazza è morta sì per un’insufficienza cardiaca, ma a sua volta provocata da ciò che in Giappone chiamano “karōshi”. Miwa aveva fatto 146 ore di straordinari, mentre nel mese precedente ben 159. Aveva così tanto lavoro e responsabilità che non ha potuto prendersi neanche un giorno di riposo, accumulando stress, stanchezza e privandosi delle ore di sonno.

L’origine del karōshi è fatta risalire alla fine della seconda guerra mondiale. Il Giappone dovette ricominciare tutto da zero, gli americani contribuirono alla ricostruzione del paese rivedendo la costituzione giapponese. Tutto ciò creò un certo benessere, le banche fecero sì che la domanda di beni aumentasse perché potevano permettersi di garantire prestiti a un tasso di interesse basso. Il primo ministro Shigeru Yoshida si impegnò nella ricostruzione dell’economia, tanto che in quegli anni si parlò del cosiddetto “miracolo economico giapponese”, che rimise il Giappone sul podio delle potenze economiche del globo. Un Giappone che si era scrollato di dosso le macerie della seconda guerra mondiale, ma che si macchiò del sangue delle vittime di tale gloria.

Il termine apparve per la prima volta nel 1987 nei rapporti del Ministero della salute, del lavoro e del welfare, quando la gravità del problema iniziò a scuotere le coscienze e a infiammare l’opinione pubblica. I primi casi, come affermato, si erano registrati già nel dopoguerra. E nonostante il fenomeno sia nato anni fa, non si è mai smesso di parlarne, nemmeno nel nostro paese, poiché riguarda una tematica di fondamentale importanza per concepire come ad oggi il lavoro sia visto come una fonte di stress e stanchezza, che porta non più alla piacevolezza ed alla leggerezza, ma alla morte.

Con la pandemia però la situazione sembra essere cambiata. Costretti a lavorare da casa per il Covid-19, i giapponesi hanno avuto la possibilità di ridimensionare il proprio impegno lavorativo, fissandosi nuove priorità. Di fronte a una cultura in cui il lavoro è al primo posto, ora i dipendenti del Giappone vogliono più flessibilità, autonomia e controllo.

Nonostante il risvolto negativo del Covid-19, esso è stato d’aiuto per molte altre situazioni, tra cui quest’ultima: in Giappone, un numero sempre più alto di dipendenti, circa 9 milioni, sta valutando di cambiare lavoro, qualcosa che fino ad allora non era ben visto. Uno studio del Recruit Works Institute indica che tra i giovani dipendenti la percentuale che ha lasciato il lavoro nelle grandi aziende entro tre anni è salita al 26,5% dal 20,5% di otto anni fa. Molti si sono trasferiti in zone periferiche, altri hanno deciso di dedicarsi maggiormente alla famiglia o di cercare lavori che impegnassero meno tempo. Sicuramente il Covid ha innescato un forte risveglio.

Le autorità giapponesi hanno già iniziato a correre ai ripari contro questo fenomeno, che riguarda anche tantissime categorie di lavoratori italiani. I normali orari di lavoro non vengono quasi mai rispettati, sia nel Pubblico che nel Privato. E’ sicuramente arrivato il momento in cui anche in Italia si facciano leggi severe contro chi questi orari li supera.

Inoltre tale tipo di fenomeno può essere connesso ad un altro fattore preponderante: molti stagisti in Italia vengono sottopagati, o addirittura non vengono pagati. In moltissimi casi gli stage aziendali vengono utilizzati come lavoro gratuito o sottopagato in sostituzione di personale dipendente. Una truffa. Lo stagista è, in molti casi, un lavoratore a tutti gli effetti, senza alcuna tutela, ma è impiegato per svolgere lo stesso ruolo di chi è assunto con un contratto.

Significative alcune testimonianze. “Per 3 mesi ho fatto da stagista in un ristorante di Napoli – racconta FlaviaAlla fine del periodo di stage mi hanno liquidata con un semplice “ciao” e un “sei stata brava” senza percepire un euro”.


Necessari ed urgenti sono i controlli sistematici da parte della Guardia di Finanza e di carabinieri del nucleo di tutela del lavoro, al fine di poter incentivare la predisposizione al controllo su un’adeguata remunerazione del lavoro prestato.


Francesca Simonetti

114 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comments


bottom of page