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Ma è stato davvero l’”Anno delle donne?"

Il 2023 è iniziato da poco più di un mese e non è ancora terminato il momento di tirare le somme su quello passato, anno che la giornalista Lucia Goracci ha definito “l’Anno delle Donne”. Sulla stessa linea il Dictionary.comha decretato “donna” parola dell'anno a seguito di un picco del 1.400% nelle ricerche. Paradossale, proprio come sembra, visto che sono stati i dodici mesi che hanno visto consumarsi più di un femminicidio ogni tre giorni solo in Italia, alcuni dei maggiori attentati al diritto all’aborto, il ritorno al passato delle donne afgane a causa dei talebani e le ripercussioni sulla condizione femminile dell’attacco russo all’Ucraina.


Il Time ha nominato le donne iraniane “eroine dell’anno” per le proteste scoppiate in Iran dopo la morte di Mahsa Amini ad opera della polizia morale, in primis rivendicando la libertà di indossare hijab e iniziando poi una rivolta traversale senza precedenti, opponendosi al regime teocratico e pretendendo riforme strutturali. Si sono susseguite storie di adolescenti, attrici, dottoresse, atlete scese in piazza o esposte pubblicamente, e ad oggi il numero di donne torturate e uccise si aggira nei pressi del centinaio.


Poco più a Est, in Afghanistan, la popolazione femminile è di nuovo inghiottita dal burqa e nonostante le iniziali rassicurazioni dopo il ritorno al potere, ad un anno dall’insediamento, i talebani, hanno gradualmente impedito dapprima l’accesso all’istruzione di secondo grado, poi all’università, fino a dicembre quando si è giunti ad un divieto totale allo studio. Non secondario, inoltre, il divieto di lavorare in organizzazioni non governative, legittimato sul mancato rispetto del codice di abbigliamento ma finalizzato a privare del fondamentale aiuto apportato dal personale femminile. È a tutti gli effetti un salto indietro di 20 anni al primo regime talebano, ad una realtà che da molte non era mai stata sperimentata e, comunque, a seguito di decenni che hanno lasciato sulle donne una diversa consapevolezza e un rafforzato legame con i paesi occidentali.


In Ucraina invece le donne hanno dovuto reinventarsi. La maggior parte è stata protagonista di un vero e proprio esodo e ha dovuto farsi carico del sostentamento della famiglia, mentre altre si sono arruolate costituendo il 15% dell’esercito.


Risulta facile, dunque, tracciare un fil rouge: i primi diritti colpiti e ritrattati in situazioni di crisi sono quelli delle donne.


E se queste ci appaiono ancora minacce distanti da noi, ve ne sono altre che, più o meno manifestatamente, hanno eroso i diritti delle donne, strappando lembi di libertà.

Il 24 giugno una sentenza della Corte Suprema Degli Stati Uniti ha superato l’orientamento della sentenza Roe v. Wade, che garantiva tutela federale al diritto all’aborto, lasciando ora ai singoli stati applicare le proprie leggi interne in materia. E così, 50 anni più tardi, la popolazione femminile (e non solo) si è ritrovata costretta a reclamare ciò che riteneva già acquisito.

Anche in Italia si sono susseguite plurime proposte di legge finalizzate a svuotare dall’interno la legge 194/78, ad esempio proponendo il riconoscimento della capacità giuridica al concepito e limitando di fatto le vie di accesso all’interruzione della gravidanza.


Persistono, d’altra parte, aggravate ulteriormente a seguito del Covid, le disparità nell’ambito lavorativo. Nel perseguimento dell’equità l’Italia, in particolare, si piazza ultima in Europa e tuttavia investe solo l’1,3% del PNRR. Le donne, infatti, hanno un più basso tasso di occupazione, il pay gap secondo Eurostat per ogni ora lavorata è del 14,1%, si riscontrano maggiori difficoltà nella carriera e più precarietà, con importanti conseguenze economiche e sociali.


Ora, seppure in una condizione di sostanziale parità non sarebbe necessario sottolinearlo, risulta importante e d’ispirazione ripercorrere le tappe che nel 2022 hanno aperto la strada a nuove frontiere.

Partendo dalla politica, mentre Il Regno Unito ha perso la regina Elisabetta II dopo 70 anni di regno, in Italia per la prima volta vi è “un presidente” del consiglio donna, anche se il cambiamento è stato temperato dalla scelta di declinare al maschile la carica.

Il Finlandia, invece, uno scandalo esploso dalla diffusione di alcuni video della premier Sanna Marin ha rivelato come lo standard di autorevolezza richiesto ad una giovane donna leader, anche al di fuori dell’ufficio, sia tuttora ben diverso da quanto preteso dai colleghi uomini. Ciò nonostante, in molti si sono schierati al suo fianco ed è stata l’occasione di ribadire che su ben altro si determina la credibilità di un capo di stato.

Un altro momento importante è stato quello delle dimissioni di Jacinda Ardern in Nuova Zelanda, la quale, con onestà e vulnerabilità, ha affermato il diritto di fare un passo indietro e il coraggio di rinunciare.

Tra i dissidenti russi oppositori all’attacco all’Ucraina, un ruolo di spicco è stato rivestito da Maria Alyokhina, componente della band Pussy Riot che, dopo aver violato i domiciliari, è riuscita a fuggire in Lituania; mentre l’avvocata e attivista ucraina Oleksandra Matviichuk ha vinto il Premio Nobel per la Pace 2022 per aver sostenuto la creazione di uno speciale “tribunale ibrido” che indaga su violazioni dei diritti umani e crimini di guerra.

Vi sono, infine, altre conquiste degne di nota: in Qatar è scesa in campo la prima donna arbitro nella storia dei mondiali di calcio, il Nobel per la letteratura è stato vinto dall’autrice francese Annie Ernaux e Samantha Cristoforetti è diventata la prima donna europea ad assumere il ruolo di comandante della stazione spaziale internazionale.

Chiuso il sipario, dunque -si fa per dire, visto che tuttora permangono queste situazioni- le donne, più che come vittime inermi, sembrano aver interpretato la parte delle protagoniste, non arretrando e incassando colpi ma trovando la forza di intraprendere nuovi slanci.


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