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Riformare la giustizia - Criticità e punti di forza del sistema italiano

Ogni anno, verso la fine di ottobre, un’eco voluttuosa pervade l’italica penisola. Ha il suono delle risate stanche di chi ascolta una battuta vecchia come il mondo, ma che, indomita, il mondo non lo abbandonerà mai. Si tratta de LA battuta, quella che tutti noi abbiamo sentito almeno una volta e risentiremo annualmente, a scandire gli anni come il Natale. “Da domani torna l’ora solare”, titolano i giornali. Funambolico, l’italico cittadino non perde tempo “Se ne va l’ora legale, l’unica cosa legale rimasta in Italia”. E giù a ridere

A sentirli parlare dell’ora, sembrerebbe che in Italia ci sia un problema con la giustizia. Probabilmente esagerano, gli incursori dei migliori bar di Bibbiano. Ma un problema con la giustizia, l’Italia ce l’ha davvero. E a dirlo non sono solo vari profili Facebook, ma diverse istituzioni europee ed internazionali. Non ultima, la Commissione Europea, che all’inizio di quest’anno ha emanato un preoccupante report sulla giustizia italiana. Lenta, inefficiente e carente secondo i commissari europei. E negli anni precedenti, varie sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul trattamento dei detenuti non erano state certo più leggere. Ci vorrebbe una riforma, verrebbe da pensare. E allora parliamone, di riforme della giustizia.

Se il futuro sembra grigio, il passato era di tutt’altro colore. “Il sistema previsto dalla legge 354 del 1975 era incredibilmente avanzato.” - dice la Professoressa Laura Cesaris - “L’ordinamento penitenziario era pensato non soltanto sulla pena detentiva, ma anche su una serie di misure alternative che si è andato arricchendo nel tempo. Dall’affidamento in prova alla detenzione domiciliare, passando per le riduzioni di pena”. Tale sistema era incredibilmente innovativo, sia dal punto di vista rieducativo, sia dal punto di vista del trattamento penitenziario. Per lo meno nelle intenzioni. Già, perché poi una riforma va attuata. Ed è qui che spunta quello che Carlo Freccero definirebbe “il problema del budget”. Infatti, sarà proprio un problema di risorse a minare la riforma del ’75, che rimarrà in buona parte inattuata. Insomma, un’ottima riforma limitata da scarsità di fondi e da una serie di ostatività introdotte a pendolo dal legislatore, che porteranno la popolazione carceraria a crescere fino al livello di emergenza raggiunto nel 2010.

A proposito di limiti alle riforme, nessuno può spiegarli meglio di chi le riforme è deputato a realizzarle. A farlo per noi è Angelino Alfano, che ricorda tre aneddoti di quando era ministro. Il primo riguarda un colloquio avuto con un grande manager, svoltosi poco dopo la prima nomina a ministro, il quale cercò di dargli diverse soluzioni di stampo aziendalistico per risolvere il problema della lentezza della giustizia. Soluzioni brillanti di un uomo brillante, ma con la piccola difficoltà di essere contrastanti con i vincoli costituzionali che presidiano lo stato di diritto. Prima lezione riguardo i limiti: Legge e Costituzione rendono inapplicabili allo stato regole aziendalistiche. Il secondo aneddoto concerne la nomina del direttore generale della statistica. L’ex ministro racconta di aver avuto un’idea rivoluzionaria, ossia mettere uno statistico a capo della statistica. Banale a leggersi, ma in totale contrasto con la prassi di nominare un magistrato. Tale ribelle scelta, oltre a dare maggiore trasparenza ed efficienza al sistema, è stata confermata da tutti i governi successivi. Seconda lezione: la prassi è un limite, ma se ci credi lo fai. Ci sono riforme che non passano per legge, ma producono riforme. Il terzo ed ultimo aneddoto riguarda la riforma che prevede l’obbligo di provare a raggiungere la mediazione prima di andare a processo. Una riforma tanto voluta da Alfano, quanto osteggiata dagli avvocati, che arriveranno a fischiarlo durante l’Assemblea Nazionale degli avvocati. La mediazione ora è strumento largamente usato nel nostro paese, a dimostrazione della terza lezione: a volte il vincolo deriva da rendite di posizione, ma, con fatica, è possibile vincerle. Perché in fondo, il tentativo di cambiare è un tentativo che vale la pena fare.

Il grande limite di cui ogni riforma deve tenere conto, lo individua l’ex Primo Presidente della Corte di Cassazione Giovanni Canzio. Più che di un limite vero e proprio, si tratta di un doppio nucleo, costituito da indipendenza ed autonomia giudiziaria, come riconosciuto in Costituzione. Un dettato voluto da Piero Calamandrei, affinché mai più potesse realizzarsi il controllo politico vistosi nella fresca e traumatica esperienza fascista. Indipendenza ed autonomia da esercitare in nome del popolo. In nome, ma non secondo volontà, che altro non sarebbe che un pilatesco uso della giustizia.

In conclusione, perciò, in Italia un problema-giustizia c’è. Servono riforme atte a velocizzare i tempi, dare certezza, tutelare i diritti di vittime e condannati. E molti dei limiti che ostacolano queste riforme sono dovuti a superficialità, interessi e confusione. Ma, a volte, un limite non è che una risorsa a vigilanza dello stato di diritto. A questo serve la Costituzione, redatta da chi aveva visto la propria libertà barattata con la puntualità ferroviaria. Perché effettivamente, se ci si pensa, sulla giustizia c’è poco da scherzare. Per lo meno fino al prossimo ottobre.


Federico Rosa



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