“libertà va cercando ch’è sì cara/ come sa chi per lei vita rifiuta”
La Divina Commedia - Purgatorio canto I, vv. 71-72
La settimana scorsa un bar di Catanzaro Lido ha fatto scalpore perché il suo titolare, dopo avere abbassato le saracinesche allo scoccare della mezzanotte, le rialzava un quarto d’ora dopo.
“Barista beffa il DPCM” tuonavano i giornali. Perché in effetti il DPCM del 13 ottobre – il più recente all’epoca dei fatti – prescriveva la chiusura dei locali a “mezzanotte in punto”, mentre, come ha spiegato il nostro protagonista, taceva sull’orario della riapertura. Conseguentemente ciascuno sarebbe stato libero di riaprire “quando gli pareva”.
Ora, essendo tutti consapevoli dell’intento del governo di evitare assembramenti notturni e, per far ciò, di tenere chiuse le attività commerciali che potrebbero “causarli”, pareva di primo acchito trattarsi di una storia di disobbedienza civile.
Ma quello che il titolare faceva notare era un “vuoto normativo”; per cui come potrebbe esserci disobbedienza se manca, alla radice, una regola cui disobbedire?
In quest’ottica, quindi, il gesto di riaprire il locale altro non sarebbe che pura libertà.
Ebbene, senza l’intento di prendere alcuna posizione – bisogna notare infatti che se un unico locale restasse aperto in tutta una città, i tanti che a casa non vogliono restare vi si recherebbero senz’altro e difficilmente non si creerebbe un assembramento potenzialmente pericoloso - la vicenda pare ricca di interesse.
L’idea che pare scovarsi in filigrana – ancorché espressa in termini ben più ampi e generali - è che aldilà di ciò che la regola mi impone di fare (o di non fare) esiste (e resiste) la mia libertà.
Ed è quest’idea a dover essere approfondita.
Si deve anzitutto precisare – anche in relazione alla vicenda narrata – che libertà non vuol dire “totale assenza di vincoli”; al contrario ogni libertà è di per sé limitata.
Il primo limite, infatti, è determinato dalla coesistenza in uno stesso spazio di tante e diverse libertà od interessi ugualmente meritevoli di tutela, il cui rispetto individuale impone una necessaria reciproca limitazione. Tant’è vero che oggi la limitazione del diritto di circolazione è funzionale alla tutela del diritto, individuale e collettivo, alla salute.
Ma ciò che conta ai nostri fini, si badi, non è la limitazione di una libertà in sé, quanto piuttosto l’ampiezza (spaziale e temporale) che essa assume.
In altri termini, bisogna chiedersi: “fino a che punto e per quanto tempo posso consentire una limitazione della mia libertà”? E prima ancora: “conosco e condivido le ragioni che giustificano tale limitazione”?
Un siffatto ragionamento, si badi, non indurrà necessariamente ad alcuna “levata di scudi” contro l’ordine delle cose; tutt’altro, si potrebbe giungere ad aderire – facendole proprie – alle ragioni sottostanti ad una limitazione. Infatti, l’utilizzo di un ragionamento critico nei confronti di un elenco di regole etero-imposte parrebbe, ad un tempo, esercizio e difesa di qualunque libertà. Sarà infatti confrontando le proprie ragioni con quelle che sorreggono la regola (perché le regole devono essere motivate e chi è “regolato” deve conoscere la motivazione) che si potrà scegliere se aderirvi o contestarla.
In altri termini, conosciute le ragioni altrui ed elaborate e maturate le ragioni proprie, sarà possibile – accostandole - scegliere consapevolmente “da che parte stare” (posto che né l’una, né l’altra posizione debbano considerarsi aprioristicamente giuste o sbagliate).
Più semplicemente, quindi, solo conoscendo e ragionando saremo veramente liberi (di scegliere) per mai dover sottostare passivamente a decisioni altrui (che peraltro ci riguardano).
In conclusione quindi, a parere di chi scrive, il ragionamento ed una sua logica argomentazione in una società libera, sono già una forma di contestazione.
Quella sera, stando ai racconti dei giornali, i vigili intervenuti per far “richiudere” il locale, sono stati colti di sorpresa dalla logica dello scaltro imprenditore, il quale, pochi giorni fa ha avuto modo di criticare anche l’ultimo DPCM, in relazione al fatto che la differenza nell’orario di chiusura tra sale giochi e ristoranti non considera che molti ristoranti hanno al loro interno delle sale giochi.
Insomma, di chiudere, COVID o non COVID lui proprio non ha voglia. Ha ragione? La scelta al lettore.
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